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Nuovi cibi: l’UE dà il via libera agli alimenti preparati con farina di insetti

a cura di Salvina Elisa Cutuli
a cura di Salvina Elisa Cutuli
22 Settembre 2023
8' di lettura

Dal 26 gennaio 2023 è possibile trovare sul mercato alimenti di vario tipo che contengono tra gli ingredienti farina di insetti. Quali sono le ripercussioni di questa decisione dal punto di vista etico, economico e ambientale?

L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare – EFSA – ha dato il via libera al consumo umano di farina di insetti che dal 26 gennaio 2023, in seguito all’entrata in vigore del relativo regolamento reso pubblico dalla Commissione Europea, è disponibile in tutto il territorio europeo come nuovo ingrediente di panificati, cracker, minestre e altri alimenti. Grilli, larve gialle della farina e locusta migratoria in forma essiccata, congelata o in pasta.
La notizia ha scatenato un acceso dibattito, pareri contrastanti e tanta confusione. In realtà esistono già diversi alimenti che contengono da tempo insetti tra gli ingredienti. Si tratta di quei prodotti che riportano nell’etichetta la sigla E120 che identifica il carminio, ovvero un colorante alimentare rosso ricavato dalla cocciniglia, usato per dare un colore vivo e acceso a bevande di frutta e salse.

L’argomento è spinoso anche perché coinvolge l’ambito etico, economico e ambientale. Bruxelles pensa alle proteine alternative in generale, tra cui quelle derivanti dagli insetti, come una risposta all’aumento del costo delle proteine animali, al loro impatto ambientale, all’insicurezza alimentare e alla crescita della popolazione. Allevamenti di insetti potrebbero contribuire anche a ridurre le emissioni di gas serra e lo spreco alimentare.

È dello stesso parere Ivan Albano, amministratore delegato di Italian Cricket Farm, la più grande farm di insetti in Italia presente sul mercato dal 2017, che produce polvere di grillo.
«Da 35.000 anni gli uomini mangiano gli insetti, quindi non sarebbe una novità introdurli nella nostra alimentazione. Nei nostri allevamenti non consumiamo acqua e produciamo pochissima CO2 perché la respirazione dei grilli consuma poco ossigeno. Le loro deiezioni sono secche e inodori e riusciamo a venderle come fertilizzante biostimolante. Le proteine nel mondo non bastano oggi e non basteranno in futuro, dobbiamo fare i conti con la crisi climatica, l’aumento della popolazione e una profonda ignoranza globale alimentare. Serve necessariamente trovare una soluzione e questa potrebbe essere una valida alternativa: produrre una parte delle proteine dagli insetti per inserirli in prodotti che sono poveri di proteine come, ad esempio, la pasta. Questo insieme, si spera, ad un uso più consapevole di carne prodotta da allevamenti sostenibili, magari spingerà sempre più persone a mangiare in modo più responsabile. Sono tante le informazioni errate. Sfido chiunque a controllare la carne di certi hamburger sul mercato. Comprendo le perplessità un po’ dovute ad una cultura distante da queste abitudini e un po’ per pregiudizio. Associamo spesso gli insetti allo sporco, ma non è il caso dei grilli. In Asia sono animali associati ad ambienti salubri. I nostri allevamenti hanno vasche e habitat che ricostruiscono il loro ambiente e vivono più a lungo rispetto ai tempi in natura. Aspettiamo che diventino grandi e poi li abbattiamo con le temperature fredde, proprio come succede in natura con gli insetti stagionali che muoiono con l’arrivo del freddo. Si tratta di un prodotto molto caro, produrre un chilo di farina vuol dire processare 7-8000 insetti con un costo di produzione di circa 30 euro al chilo. Una quantità di farina di grillo verrà aggiunto ad un dato prodotto e per legge saremo obbligati ad indicarlo sull’etichetta. Per noi è un percorso ecologico che porta verso un’evoluzione di consapevolezza».

Non la pensa così, invece, Giulio Vulcano, ricercatore esperto di sistemi alimentari.
«In realtà si tratta dell’ennesima soluzione-illusione adottata sotto la pressione del mondo industriale-produttivista per non affrontare i problemi strutturali dei sistemi alimentari. Si può probabilmente parlare anche in questo caso di “green washing” come per le altre proteine “animali” alternative quali la carne artificiale di laboratorio, sulla quale gli investimenti e i rischi sono ancora maggiori. Così vengono banalizzati in modo molto parziale e settoriale problemi complessi, non andando a incidere sulle loro cause originarie. Bisognerebbe spostare l’attenzione sulla comprensione sistemica dei fenomeni e sullo sviluppo di indispensabili scenari socio-ecologici. I fabbisogni globali al 2050 si possono ampiamente garantire sciogliendo i blocchi strutturali e distribuendo equamente i contributi derivanti da un’analisi sistemica dei fenomeni. Ad esempio, abbandonando il paradigma di crescita economica e oligarchia, nella democratizzazione e nell’equità dei valori e delle relazioni tra i soggetti, dentro e fuori i sistemi alimentari: ovvero il cibo vissuto e riconosciuto come bene collettivo vitale, prima che come prodotto commerciale. Una riduzione consapevole della pressione demografica e dei fabbisogni alimentari complessivi mediante l’accesso universale alla conoscenza per la salute sessuale e riproduttiva, l’emancipazione femminile, la pianificazione familiare volontaria, l’educazione alimentare. È necessario convertire circa la metà di coltivazioni e allevamenti agroindustriali a metodi agroecologici diversificati su piccola scala locale per alimenti stagionali. Fondamentale è lo sviluppo dal basso di un “ecosistema” distributivo di reti alimentari locali, agroecologiche, mutuali e di piccola scala che siano autosufficienti e tra loro cooperative, così da dimezzare gli sprechi alimentari. Questo eviterebbe quindi la necessità di una corrispondente maggior produzione. Rispetto ai sistemi convenzionali (GDO) si osserva una riduzione media degli sprechi del 67% nel caso di sistemi alimentari regionali, biologici e di medio-piccola scala, come ad esempio i mercati degli agricoltori, e addirittura fino al 90% in media nel caso di reti locali, agroecologiche, mutualistiche-autorganizzate e di micro-piccola scala, per esempio nei Gruppi di Acquisto Solidali o nelle CSA. Infine, centrale è la diffusione di diete varie e più sane per l’umanità e per il pianeta, dimezzando il consumo globale di derivati animali, preferendo prodotti vegetali agroecologici e non iper processati».

Su quest’ultimo punto si trova d’accordo anche la biologa nutrizionista Denise Filippin. «Si può fare ricorso a cibi più tradizionali come i legumi, ricchi di proteine, che sono stati consumati anche durante la guerra quando c’era carenza di cibo e sono la prova della possibilità di sostenere la popolazione senza per forza introdurre nuovi alimenti».

La sua linea è vicina a chi storce il naso per motivi etici, in base ai quali il consumo di insetti non sarebbe diverso da quello di qualsiasi altro animale allevato. Per Denise Filippin, ricorrendo ad alimenti che fanno già parte della nostra tradizione si potrebbe arrivare ad una soluzione concreta, sicura e immediata, con un impatto ambientale minimo se paragonato a quello dei prodotti di origine animale.

Insomma, gli insetti commestibili riusciranno a entrare a far parte delle abitudini del futuro sistema alimentare europeo? Oppure no?

Quale ruolo giocheranno nella ricerca sempre più urgente di un approccio sostenibile al cibo? Il dibattito è aperto.

Non ci resta che assistere a quali reazioni provocherà sul mercato la farina di insetti, tra diffidenza, innovazione e curiosità!

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L'autore

Salvina Elisa Cutuli

Archeologa e giornalista. Dal 2018 collabora con Focus Storia. Lavora a progetti di divulgazione – soprattutto in ambito giornalistico – attenti a tematiche, oggi più che mai, importanti come sostenibilità, ambiente, cibo, nuovi stili di vita, arte, partecipazione attiva e democratica, clima, disabilità, lavoro, salute, mobilità, energia, tematiche di genere, legalità. Uno su tutti, Italia che Cambia. In particolare, svolge approfondimenti su cibo e filiera alimentare.

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