“Coniugare innovazione e tradizione”. Esiste frase più abusata di questa? Eppure, in alcuni casi, è proprio da questa ibridazione che nascono le gemme più brillanti.
È il caso dell’Azienda Agricola Marco Bozzolo, che ha ripreso in mano la tradizione di famiglia nella castanicoltura (che sulle Alpi liguri rappresenta un bel pezzo della cultura locale) e l’ha “ammodernata”, inserendo nuovi modi per raccontare la propria storia attraverso i prodotti e per avvicinare le persone a questa tradizione millenaria.
Lo ha fatto anche grazie al Progetto SMAQ, Strategie di Marketing per l’Agroalimentare di Qualità, un progetto promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo per sostenere la competitività delle imprese del cuneese attraverso l’innovazione digitale. Abbiamo contattato telefonicamente Marco Bozzolo per farci raccontare meglio la sua azienda e il percorso fatto assieme a SMAQ.
Quando e come nasce l’Azienda Agricola Marco Bozzolo?
La nostra azienda agricola nasce nel 2016, ma ha radici molto profonde perché la mia famiglia si occupa da tante generazioni, si va indietro di centinaia di anni, di castanicoltura, come tutte le famiglie della nostra zona.
Ci troviamo a Viola Castello, un paesino in provincia di Cuneo al confine fra Piemonte e Liguria sulle Alpi liguri, e qui da secoli c’è questa tradizione legata alla cura dei castagneti secolari che ci occupa per tutto l’anno. Una volta effettuata la raccolta delle castagne c’è il processo di essiccazione e infine la lavorazione del prodotto. L’essiccazione, in particolare, è una caratteristica tipica del nostro territorio. Infatti la nostra castagna, una varietà chiamata garessina, si presta molto ad essere essiccata, processo che avviene ancora con metodo tradizionale, ovvero fuoco lento per 30-40 giorni in edifici in pietra e legna che si chiamano “scau”, da secau, seccatoio.
Una tradizione antica per un’azienda recente, quindi.
Già. l’azienda, come dicevo, è nata sette anni fa proprio per valorizzare questa tradizione. Abbiamo recuperato completamente un vecchio essiccatoio, che in verità non è mai andato dismesso ammodernandolo con l’introduzione di un laboratorio in cui, grazie alla collaborazione con una serie di artigiani locali, si realizzano i prodotti trasformati, dalle creme alla farina, la pasta, le tagliatelle, i biscotti, le torte e chi più ne ha più ne metta.
Dei veri professionisti della castagna!
Siamo un po’ come Bubba (ride, ndr), l’amico di Forrest Gump che parla solo di gamberetti e di tutti i modi in cui si possono trattare. Ecco, noi facciamo lo stesso con le castagne. Ma è una cosa che si è sempre fatta qua da noi. Qui si parlava persino di “Civiltà del castagno” e l’albero del castagno, in dialetto, si chiama “erbu”, l’albero. Il melo ha un nome, il pero ha un nome, il castagno è semplicemente l’albero.
Che tipo di percorso avete fatto con il progetto SMAQ?
Siamo stati selezionati da loro, che hanno scelto profili aziendali abbastanza variegati. La mia, fra tutte le aziende coinvolte, è una delle più giovani nonché una delle più piccole, anzi certamente la più piccola, essendo un’azienda a conduzione familiare.
L’idea di fondo del progetto era quella di promuovere l’innovazione sul nostro territorio legata alle produzioni agroalimentari. Il percorso è stato in primis teorico, abbiamo fatto lezioni con professori universitari che trattavano di nuove tecnologie e altre tematiche innovative. Dopodiché c’è stata una seconda fase più pratica in cui siamo andati a capire come utilizzare queste ICT (Information and Communication Technologies, ndr) nelle nostre aziende.
In cosa vi ha aiutato ad innovare?
Nel caso specifico della mia azienda abbiamo fatto un QR code sulle confezioni dei prodotti per raccontare ai clienti la storia dei nostri prodotti e delle nostre tradizioni: quindi il discorso dell’essiccazione, come avvengono le varie fasi della produzione, la cura dei castagneti secolari e così via. Il concetto di fondo è stato quello di inserire degli elementi di innovazione nella tradizione.
E’ stata un’esperienza utile?
Sì, decisamente. Oltre al percorso, sono stati molto utili anche gli incontri con gli altri partecipanti, potersi confrontare con altre aziende più strutturate della mia. A volte sono nate anche delle sinergie: ad esempio, c’è un mulino di La Morra (altro paese del cuneese, ndr) che si chiama Sobrino, anch’esso parte del progetto. Ecco, alla fine hanno deciso di prendere le castagne da noi, trovando un fornitore locale che prima non conoscevano.
Si sono sviluppate anche delle dinamiche di rete molto utili e necessarie, specialmente qua da noi. Qui nel cuneese c’è una mentalità del lavoro impressionante, in cui tutto ruota attorno al lavoro: hai delle aziende che nonostante siano a conduzione familiare fanno cose incredibili. Poi però, a fare da contraltare, c’è la tendenza ad andare un po’ ognuno per la sua strada. Quindi questo tipo di progetti servono anche a capire l’importanza di fare rete.
Chi vi ha seguito in questo percorso?
Ogni azienda aveva un suo Digital Ambassador che ci guidava e consigliava. Perché tutte le aziende sono diverse e quindi è fondamentale andare a targettizzare i singoli bisogni di ogni realtà. La nostra si chiama Margherita Testa ed è stata fondamentale.
Anche perché, come spesso accade, subentrano altre idee e dinamiche propositive. Ad esempio da un’idea di Margherita abbiamo lanciato un’iniziativa che si chiama “Adotta un castagno secolare”, che ha avuto molto successo. L’idea di fondo è che le singole famiglie possono adottare una pianta, è un modo per far capire alle persone l’importanza del lavoro che si fa quassù in montagna, la cura dei castagneti, è un po’ una scusa per fare venire le persone a vedere in loco di cosa si tratta.
Una volta adottato il tuo albero puoi attribuirgli un nome, puoi venire durante tutto l’anno in azienda a vedere l’evoluzione e le varie fasi del castagno, le varie potature, la cura del sottobosco. Infine il clou è una giornata, che si fa una volta all’anno, in cui invitiamo tutti coloro che hanno adottato a fare una raccolta di castagne condivisa con caldarrostata finale nel bosco.
Un modo per rivivere le tradizioni assieme, come si faceva una volta?
C’è tutto un discorso di condivisione. Oggi spesso abbiamo un’ottica aziendalistica su tutto, che però va a scapito dei rituali sociali. La raccolta delle castagne, come la vendemmia o la raccolta delle olive e del grano erano esperienze collettive, in cui si chiamavano gli amici e si stava assieme. Sono dinamiche belle. Perciò la nostra iniziativa ha avuto successo.