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GAS, Des e CSA, alternative valide per una filiera che ha a cuore la salvaguardia dell’agricoltura contadina

a cura di Daniel Tarozzi
a cura di Daniel Tarozzi
05 Dicembre 2023
8' di lettura

Secondo un sondaggio circa il 60% della popolazione italiana rientra tra i consumatori “responsabili” che scelgono di acquistare al di fuori delle logiche di mercato della grande distribuzione. Nell’arco degli ultimi trent’anni i GAS, i Des e le CSA si sono imposti come un nuovo modello di economia basato su valori etici, sostenibili e solidali e come una risposta alla crisi di molti piccoli produttori soffocati dalle leggi di un mercato che punta solo al profitto.

Da quasi trent’anni in Italia esiste un modo diverso di fare la spesa. Era il 1994 quando a Fidenza venne creato il primo GAS, un gruppo di acquisto solidale, costituito da persone che si organizzavano in modo spontaneo per fare acquisti collettivi secondo criteri etici. Da allora i GAS hanno fatto molta strada e se ne contano moltissimi in tutta Italia. Sin da subito fu chiaro l’obiettivo, spese improntate sulla sostenibilità e sulla solidarietà, che li distinse dai più comuni gruppi d’acquisto principalmente finalizzati ad un risparmio economico. All’origine di tutto tante domande e la voglia di contribuire alla costruzione di un’economia più etica possibile. Cosa c’è dietro ad un determinato bene di consumo? Chi lo ha prodotto ha rispettato le risorse naturali e le persone? Quanto del costo finale serve a pagare il lavoro e quanto la pubblicità e la distribuzione? Qual è l’impatto sull’ambiente in termini di inquinamento, imballaggio e trasporto? Fare la spesa ha così assunto una valenza sociale, economica e politica.

Essere consumatori critici vuol dire riflettere sulle alternative valide e praticabili al di fuori delle logiche di mercato della grande distribuzione e ad un modello di consumo e di economia globale sempre più aberrante. Questo è uno dei motivi per cui i GAS privilegiano i prodotti di agricoltura biologica e a Km zero, diminuendo così l’impatto ambientale, che permettono di instaurare un contatto diretto tra produttori e consumatori, e un clima di dialogo e fiducia reciproca. Nel tempo si è diffusa una rete capillare nel territorio che ha permesso non solo una socializzazione tra i membri, ma ha dato anche la possibilità di rilanciare un legame con le tradizioni enogastronomiche e culturali dei luoghi di appartenenza. Ciò ha creato anche una maggiore inclusione tra diverse tipologie di famiglie o gruppi del territorio. Nel tempo il criterio dei GAS si è esteso anche ad altri prodotti, non solo alimentari, e a servizi – utenze e settore terziario – necessari alla vita di tutti i giorni. Lo scorso febbraio la società SWG ha effettuato un’indagine, l’ultima risale a poco prima dell’inizio della pandemia nel 2020, su un campione di 1200 cittadini italiani maggiorenni in merito al consumo responsabile. Nel rapporto si legge che «il 62,6%, dato di poco superiore al 2020 (62,3%) e di poco inferiore al 2018 (63,4%) dichiara di adottare scelte di consumo responsabile. Una tendenza netta e chiara che sottolinea come nell’ultimo ventennio i consumatori responsabili siano più che raddoppiati rispetto al 2002. In generale, quindi, si segnala un’ulteriore crescita percentuale (32,7% nel 2022) di chi afferma di aver acquistato beni e servizi da imprese responsabili che rispettano il divieto di sfruttare il lavoro minorile, non inquinano l’ambiente e devolvono una parte di surplus a fini di beneficenza. Si registra, invece, una lieve contrazione rispetto al 2020 di coloro che dichiarano di aver effettuato acquisti nel circuito del commercio equo e solidale. Anche la quota di chi fa la spesa tramite un gruppo di acquisto solidale (GAS) registra un netto calo, passando dal 12,3% del 2020 – circa 800.000 persone in più rispetto al 2018 – all’8,6% del 2022. Tale indicatore potrebbe riflettere, in tempi di pandemia, la difficoltà dei soggetti della società civile che promuovono forme di consumo responsabile collettivo (in particolare il COMES e i GAS). La diminuzione della percentuale di persone che dichiaravano di non conoscere i gruppi di acquisto solidale, che passa dal 60,4% del 2018 al 47,5% del 2020, era stata collegata alla moltiplicazione e visibilità delle cosiddette reti alternative di cibo, diffusesi negli ultimi anni in tutto il territorio nazionale. Una tendenza, tuttavia, che nel 2022 sembra essersi attenuata e per alcune forme – in particolare per i GAS – addirittura invertita. Inoltre rimane elevata anche la quota di chi, pur conoscendo, non dimostra interesse verso il consumo responsabile, confermando quindi la polarizzazione rilevata nel 2020 tra cittadini-consumatori “responsabili” (circa il 60% della popolazione maggiorenne) e cittadini-consumatori “indifferenti” (circa il 40% della popolazione maggiorenne) che, pur essendo informati, dichiarano di non essere interessati a pratiche di consumo sostenibile».

Nonostante tutto i dati sono confortanti, lo dimostra anche la continua diffusione dei DES, i distretti di economia solidale, ovvero reti locali di economia solidale, veri e propri laboratori di sperimentazione civica, economica e sociale.

Se una parte della politica, dell’economia e della popolazione è ancora ancorata a vecchi modelli di profitto, un’altra parte, invece, crede sempre di più ad un’economia che ha cura di sé, degli altri e del mondo. Nascono così politiche, progettualità, servizi e reti che muovono energie e risorse secondo un meccanismo di generatività virtuosa che valorizza le relazioni tra i soggetti, propone un’equa ripartizione delle risorse, il rispetto e la tutela dell’ambiente, il perseguimento di obiettivi sociali e lo scambio di beni e servizi.

I DES, oltre ai GAS, riuniscono produttori, botteghe del commercio equo solidale, cooperative, onlus e a volte anche istituzioni. Realtà territoriali di una o più province che generano anche lavoro.

Il desiderio di un maggiore controllo sulla filiera del cibo da parte dei consumatori e dei produttori ha portato anche alle costituzioni di CSA, Community Supported Agriculture – Agricoltura Supportata dalla Comunità, nate in Giappone negli anni ‘70, arrivate in Europa intorno agli anni ‘80 e ’90 e adesso sempre più in diffusione, anche in Italia. Sono sempre le logiche solidaristiche a smuovere e a creare un accordo innovativo tra agricoltore-produttore e consumatore-cittadino che condividono il rischio di produzione. Le CSA sono promotrici di nuove relazioni di capitale sociale che determinano anche un principio di autodeterminazione delle comunità. In Italia la prima esperienza di CSA è nata a Bologna nel 2013. Quasi dieci anni fa venne creata Arvaia (in bolognese arvajja è il nome dialettale del pisello), a 7 km dal centro della città, una cooperativa di cittadini e coltivatori che coltiva un suolo pubblico attraverso una gestione collettiva dei soci, dalla semina al raccolto. Arvaia nasce per promuovere un’alternativa alla logica della monetizzazione del cibo, l’utilizzo dell’autocertificazione partecipata sui prodotti, la crescita della partecipazione sociale, il monitoraggio e la difesa del territorio, la diffusione dell’agricoltura biologica/biodinamica, il recupero delle colture tradizionali e l’occupazione.

Si tratta di “circuiti chiusi” in cui i prodotti agricoli non devono sottostare alle regole del mercato e si recupera anche una sovranità alimentare. I consumatori, oltre a scegliere i prodotti, sono anche imprenditori insieme ai contadini, condividendo così rischi e benefici dell’impresa agricola. Questo consente ai soci lavoratori di beneficiare di un budget per portare avanti l’attività e ai soci fruitori di avere l’approvvigionamento di ortaggi garantito per tutto l’anno. Ciascun socio investe una quota per finanziare le spese di produzione. Oggi Arvaia, a distanza di nove anni, conta 493 soci, 75 varietà di ortaggi, cereali e frutti coltivati, tutti stagionali, 47 ettari di terreno su cui si sviluppa il progetto.

Sganciandosi dalle logiche della produzione di mercato si privilegiano i valori ecologici, si punta alla naturalità dei prodotti e alla semplificazione della filiera al di là di leggi e certificazioni.

I GAS, i Des, le CSA sono la prova concreta dell’esistenza di alternative valide per una filiera che ha a cuore la salvaguardia dell’agricoltura contadina e una risposta alla crisi e alle logiche di mercato che spesso soffocano i piccoli produttori.

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L'autore

Daniel Tarozzi

Giornalista, scrittore, documentarista e direttore responsabile di Italia Che Cambia. Ha lavorato in televisione e realizzato vari documentari. Inoltre ha progettato e diretto diversi giornali web sin dal 2003. Tra questi “Terranauta”, “Il Cambiamento” e "Il Journal di Fondazione Pistoletto". Dal 2012 gira l’Italia in camper, treno e a piedi alla ricerca di persone che stanno concretamente cambiando in meglio il paese.

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