Il 22 aprile di ogni anno si celebra l’Earth Day, la Giornata della Terra, un momento simbolico per ricordarci di fare la nostra parte ed essere responsabili del benessere del nostro pianeta. Il momento giusto per agire è qui e ora. La B Corp Etifor ci spiega come massimizzare gli impatti positivi su natura e persone.
È appena trascorso l’Earth Day, il giorno in cui si celebrano l’ambiente e la salvaguardia della Terra. Nata nel 1969 come movimento universitario, la Giornata della Terra è diventata negli anni anche un momento educativo e informativo per fare il punto della situazione sulle problematiche del pianeta – inquinamento di aria, acqua, suolo, distruzione degli ecosistemi, esaurimento delle risorse non rinnovabili – e trovare soluzioni utili a minimizzare gli effetti negativi delle attività dell’uomo.
Sono tante le azioni che si possono mettere in atto per contrastare il disastro dei nostri tempi, ad esempio compensare le emissioni di gas serra, una delle azioni più immediate e facili da compiere. Molte aziende e istituzioni, infatti, misurano il proprio impatto cercando di minimizzarlo anche attraverso la piantumazione di alberi o l’uso di energie da fonti rinnovabili. Ma può davvero bastare? E siamo certi che i dati forniti corrispondano sempre alla realtà?
A seguito di una recente inchiesta realizzata dal Guardian, Zeit e Source Material sono stati analizzati i progetti di compensazione delle emissioni di CO2 di Verra, un’organizzazione statunitense a cui si affidano alcune delle principali aziende del mondo per compensare appunto le proprie emissioni. Si è scoperto che più del 90% dei crediti di carbonio riferiti alle foreste tropicali sono crediti fantasma e non hanno portato nessun vantaggio nella riduzione delle emissioni, nemmeno in minima parte. Dei 29 progetti esaminati, 21 non hanno apportato alcun beneficio, 7 avevano livelli molto più bassi rispetto a quelli dichiarati da Vera, e solo uno aveva un impatto in linea con gli impegni presi.
«Il punto è che non bisogna solo pensare di compensare le emissioni e gli impatti, serve anche un vero e proprio cambio di paradigma. Tutte le grandi imprese devono misurare i propri impatti sulla natura e, una volta che ne hanno preso coscienza, devono operare per ridurli e neutralizzarli. Bisogna mettere al centro di ogni decisione la natura. Dobbiamo trasformare il modo di fare business basato su una continua crescita, sull’aumento dei consumi e delle risorse. Dobbiamo abbandonare questo circolo vizioso, lavorare per filiere circolari con un’agricoltura rigenerativa, dematerializzare l’economia, lavorare sull’economia della conoscenza, dell’esperienza e del digitale, non solo su quella del materiale. Serve fare un passo indietro, avere approcci sani per un diverso modo di vivere e di fare impresa e puntare a un business sostenibile, non solo al green washing» commenta Alessandro Leonardi, Ceo di Etifor, una B Corp che fornisce consulenza a enti e aziende per aiutarli a valorizzare i servizi e i prodotti della natura.
Etifor è nata nel 2011 tra i banchi della Facoltà di Scienze Forestali e Ambientali come spin-off dell’Università di Padova dall’idea di quattro studenti. A loro si sono aggiunti anche due professori che hanno da sempre supportato la causa senza mai prevaricare sulle idee dei giovani ricercatori universitari. Grazie anche a un percorso di studio oltre i confini italiani, i “magnifici quattro” sono riusciti a sviluppare un network internazionale e competenze tecniche di settore che oggi fanno parte del loro lavoro quotidiano.
La politica europea è stata per loro determinante sia per la richiesta di attenzione ai mondi della sostenibilità e della biodiversità, sia per l’aspetto finanziario che, tra le tante cose, ha permesso loro di creare un “nature accelerator”, un acceleratore base per start up al livello internazionale per imprese che lavorano e valorizzano servizi e prodotti della natura.
Oggi Etifor è attiva su sei aree di competenza che spaziano dalle filiere forestali al turismo rigenerativo per poter massimizzare gli impatti positivi su natura e persone. Aiutano governi e pubbliche amministrazioni a gestire parchi, foreste, fiumi e habitat naturali. Sostengono proprietari forestali pubblici e privati a creare nuove foreste, gestire quelle esistenti e certificare i benefici ecosistemici. Supportano le aziende a misurare i propri impatti su acqua, carbonio, biodiversità e clima, e produrre dei piani di riduzione degli impatti, anche industriali, per compensare e neutralizzare le emissioni residue. Promuovono il turismo sostenibile con destinazioni turistiche rurali, montane o di aree protette e rendono più sostenibili le filiere agroalimentari e forestali.
«È stato appena pubblicato e approvato dal Parlamento Europeo il regolamento sulla ‘Zero Deforestation’ (EUDR) per contrastare la deforestazione collegata alla produzione di alcune commodities agroforestali (detta deforestazione indiretta o incorporata) che noi cittadini europei consumiamo. Questo obbligherà le aziende a rendere più sicure e tracciate le proprie filiere. Il nostro ruolo è sensibilizzare importatori, anche grandi colossi dell’agroalimentare, a conoscere la filiera dei prodotti che acquistano. Spesso non si conosce la provenienza delle materie prime, si conosce solo il fornitore. Noi aiutiamo a creare una mappatura, un controllo di gestione interna per fare in modo che la propria filiera sia lontana dalle imprese che contribuiscono alla deforestazione e all’aumento delle emissioni, contro tutte le politiche sulla salvaguardia del clima e della biodiversità. Se un mio prodotto è associato a fenomeni di deforestazione vuol dire che la mia impresa contribuisce ad aumentare le emissioni che derivano dai processi di degrado e deforestazione delle foreste. È importante avere coscienza di tutto questo» conclude Alessandro.
Per un mercato agroalimentare come quello italiano è necessario che le aziende possano rispondere a questa nuova normativa europea. La principale causa della deforestazione nei paesi tropicali è il disboscamento legato all’espansione delle aree agricole per la produzione di commodities come soia, olio di palma, carne, cacao e caffè. Il 36% dei consumatori italiani ha già deciso di non acquistare più alcuni dei prodotti che causano un impatto negativo sull’ambiente, ma serve accelerare in modo massiccio gli sforzi per il clima in ogni paese e in ogni settore. Non abbiamo ancora molto tempo a disposizione, bisogna agire ora o sarà troppo tardi. Il futuro è nelle nostre mani, come vogliamo che sia?